Il lato oscuro della produttività "sostenibile" | #04
🫠 Quando "sostenibile" diventa una parola da business coach che va in burnout una volta al mese, forse è il momento di cambiare prospettiva
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Abbiamo chiesto troppo alla produttività, l’abbiamo resa totem, promessa e condanna. Ma forse è ora di smettere di inseguire lo sprint perfetto e cominciare a chiederci cosa significa davvero lavorare bene.
C'è una parola che negli ultimi anni è diventata onnipresente, un po' come la polvere glitterata sui biglietti motivazionali o il matcha latte sulla scrivania di chi ha appena letto "Deep Work" per la terza volta: produttività sostenibile.
Bellissima e promettente, insomma ci abbiamo creduto.
Una produttività che non ti sfibra, che non ti consuma, che non ti lascia svuotato il venerdì sera come se avessi attraversato Mordor. Una produttività che tiene conto del corpo, delle pause, delle fasi della vita, dei contesti.
Peccato che nel frattempo sia diventata uno slogan, un mantra da business coach. Un'etichetta rassicurante che trovi ovunque, dal bullet journal al carosello motivazionale su Instagram, dal workshop aziendale con pausa mindfulness alla bio LinkedIn con il flair di chi ha appena scoperto Notion.
Come spesso accade quando qualcosa diventa mainstream perde la forma, o peggio diventa una scusa, una mano di vernice verde acqua sullo stesso vecchio muro.
Perché se il tuo team lavora ancora fino alle 20 ogni sera, ma lo chiami "sprint sostenibile" non è sostenibile è solo ben confezionato.
Allora la domanda vera è “e se togliessimo sostenibile dall'equazione?”
Se smettessimo di usare quella parola come fosse una toppa sul burnout e cominciassimo invece a parlare di produttività consapevole?
Consapevole, non perfetta
La produttività consapevole non cerca l'ottimizzazione a tutti i costi, non è una performance, non è una lista di tool o un rituale mattutino con le candele profumate (anche se non ho niente contro le candele profumate).
È un sistema adattivo, una lente con cui guardare al lavoro e alla vita tenendo conto di tre verità fondamentali:
non tutti hanno gli stessi ritmi
non tutti i team funzionano allo stesso modo.
non tutte le aziende rispondono agli stessi KPI
Produrre bene non significa produrre sempre, significa fermarsi a chiedere:
"Cosa significa essere produttivi qui, adesso, con queste persone e in questo momento della vita o del business?"
E poi:
"Come possiamo esserlo senza sacrificare il pensiero, il margine, l’intuizione, l’ascolto, la salute?"
La sostenibilità è il minimo sindacale, la consapevolezza è trasformazione.
Il tempo non è più l’alibi
Stiamo entrando in un'epoca in cui dire "non ho tempo" inizierà a suonare come una scusa fuori moda.
L’intelligenza artificiale ci sta già aiutando a liberare grandi porzioni del nostro tempo operativo, ma cosa ce ne facciamo di quel tempo liberato? Lo riempiamo con altre task? Lo usiamo per lavorare ancora di più?
Oppure lo dedichiamo a ciò che l’AI non può fare: innovare, pensare, creare connessioni ed allenare il pensiero strategico.
Il valore non sarà più nella resistenza, ma nella capacità di adattarsi. Agile è centrale in tutto questo, perché crea le condizioni per fare esperimenti, accogliere l’errore, evolvere, non serve solo a "fare le cose" più velocemente, ma a farle meglio, in modo più intelligente e umano.
Una nuova idea di successo
Non hai bisogno di una squadra da 20 persone, non ti servono sette zeri se te ne bastano cinque, non devi essere sold out per otto mesi se due bastano a pagare le bollette e a mantenerti sano di mente.
Siamo stati istruiti a glorificare chi costruisce imperi, anche tossici, ma dimentichiamo chi costruisce vite sostenibili, quelli che il martedì pomeriggio lo passano a dipingere, fare escursioni o a non fare nulla senza sensi di colpa.
La tua attività non è piccola, è delle giuste dimensioni.
È fatta per sostenere non per prosciugare, per finanziare esperienze non solo spese, per integrarsi alla vita non per sostituirla.
Il mito della costanza e la paura di fallire
Viviamo in un'epoca in cui ogni passo indietro viene percepito come una sconfitta. Salti una meditazione? Sei disorganizzato. Una settimana senza scrivere? Non sei un vero scrittore.
Questa è la logica binaria del progresso a tutti i costi.
Ma la verità è che la crescita reale non è lineare, si avanza, si consolida, si arretra. Come una danza, come una pianta che viene potata per crescere più forte.
Riprendere un'abitudine è come riallacciare i rapporti con un vecchio amico dopo un periodo di lontananza, c'è una curiosa asimmetria nel modo in cui affrontiamo le relazioni rispetto alle abitudini. Sappiamo che le amicizie naturalmente vanno e vengono e che i periodi di lontananza non ne diminuiscono l'importanza, tuttavia, con le abitudini, catastrofizziamo qualsiasi interruzione come un fallimento totale.
Le abitudini non sono contratti a tempo indeterminato, sono relazioni e dovremmo imparare a trattarle con la stessa grazia che riserviamo a quelle umane.
L’errore non è una minaccia, ma una soglia
C'è una frase bellissima di Elizabeth Gilbert che dice:
"Hai paura di arrenderti perché non vuoi perdere il controllo. Ma non hai mai avuto controllo, tutto ciò che avevi era ansia."
Quando inseguiamo la produttività come perfezione, rischiamo di diventare ostaggi delle metriche, è così che nasce un’ossessione per il progresso visibile, che rende fragile il nostro rapporto con le abitudini e, in ultima analisi, con noi stessi.
L'industria del self-help monetizza le nostre insicurezze patologizzando la regressione, questa narrazione di slancio continuo contraddice la realtà, poiché il progresso non segue mai una linea retta.
In questo processo, abbiamo trascurato il modo in cui il cambiamento sostenibile si svolge naturalmente, caratterizzato da periodi di avanzamento, consolidamento e occasionali ritiri.
Ma se spostiamo il nostro sguardo? Se invece di misurare il successo in obiettivi raggiunti, lo misurassimo in cose nuove che abbiamo imparato?
Allora ogni battuta d’arresto diventa un dato, ogni inciampo una ricalibrazione, ogni pausa un momento per capire cosa ci serve davvero.
Una produttività che evolve non che implode.
Verso una produttività umana, consapevole, piena di vita
In un mondo di efficienza maniacale, il tempo libero sembra un lusso o peggio una colpa. Ma senza tempo libero non c'è margine e senza margine non c'è capacità di risposta né di visione.
La produttività consapevole accoglie tutto questo, non per diventare più lenti, ma più presenti, non per fare meno ma per fare meglio.
La tua versione di successo non ha bisogno della convalida di nessuno, solo della tua presenza.
E allora la prossima volta che senti parlare di "produttività sostenibile", prova a fermarti un attimo e chiediti sto funzionando meglio o solo di più?
Se la risposta è la seconda, forse è ora di riscrivere le regole del gioco.
E per oggi è tutto, fai buon uso di questo contenuto, se questo articolo ti è piaciuto fammelo sapere e condividilo se ritieni che possa essere interessante per altre persone 🌟
PS: Ti interessa l'argomento?
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